Massimo Alberti: Apriamo la trasmissione di oggi con un altro crimine d’odio, un altro femminicidio che è avvenuto a Caivano, in provincia di Napoli, quello di Maria Paola Gaglione uccisa dal fratello Michele Antonio Gaglione che non accettava la relazione della sorella con un uomo transessuale arrivando addirittura a parlare di “infettata” anche se il suo legale ha negato questa circostanza. L’uomo oggi si è difeso davanti al giudice delle indagini preliminari dicendo che non voleva ucciderla e voleva solo parlare con lei, che non le avrebbe fatto del male. Il giudice delle indagini preliminari non gli ha creduto e ha deciso per adesso che deve restare in carcere. Una verità quella che contrasta con quanto raccontato da Ciro, il fidanzato di Maria Paola che invece ha raccontato delle continue minacce che arrivavano dalla famiglia di Maria Paola Gaglione contro questa relazione. Daniela Falanga, la presidente di Arcigay Napoli ha incontrato lungo questi giorni Ciro e questo è il racconto che ha fatto e che smentisce in qualche modo la versione di Michele Antonio Gaglione davanti al giudice:

Daniela Lourdes Falanga: Ho trovato il ragazzo in un dramma assoluto, un distacco terribile e improvviso che è appunto quello della compagna e soprattutto il fatto di non saperlo risolvere, di non poterlo risolvere perché è davvero qualcosa che lo ha toccato fortemente, oggi l’ho rivisto e stava recuperando i peli dalla spazzola della fidanzata, quindi si può intendere in che modo sta. 

Intervistatore: Certo. Senta lei ha detto poi che loro due, in particolare lei, Maria, sono stati minacciati più volte di morte dalla famiglia. 

Daniela Lourdes Falanga: Guardi, questo è quello che ha detto la madre (ndr di Ciro) e quello che ha detto Ciro, lo hanno detto più volte e lo possono riconfermare. Avevano paura che potesse accadere qualcosa, ovviamente non si aspettavano una cosa di questo tipo, una violenza inaudita che poteva addirittura portare alla morte ma sospettava in qualche modo un atteggiamento violento magari meno drammatico. 

Intervistatore: Erano da soli in questo loro tentativo di portare avanti il rapporto, una situazione di questo genere o magari avevano un supporto?
Daniela Falanga: Erano supportati dalla famiglia di Ciro e Ciro e la ragazza vivevano a casa della zia DI Ciro ma stavano aspettando di andare a vivere insieme, di trovare una loro autonomia e Ciro stava progettando appunto di intraprendere un percorso di affermazione della sua persona,
della sua identità anche attraverso tutto quello che poi sarebbe stato un riconoscimento legale, infatti lo avrei accompagnato in questo percorso. Quindi la compagna era vicina anche all’identità del ragazzo, a quello che il ragazzo desiderava, necessitava di avere, di risolvere. 

Intervistatore: Senta, ma le minacce di morte che sono state fatte, sono state fatte recentemente o è una cosa che si prolunga nel tempo. 

Daniela Lourdes Falanga: Ha detto che da luglio in particolare questo è iniziato ad accadere. 

Intervistatore: E c’è stato qualcosa che le ha scatenate, in particolare?

Daniela Lordes  Falanga: Probabilmente non c’è in realtà qualcosa che lo ha scatenato, ho capito che da quello che si racconta, si tratta di un atto soprattutto di femmicidio. Qui c’è proprio una cultura patriarcale del potere che si aizzava sulla ragazza. Paola aveva tentato di recuperare i rapporti con la propria famiglia, li ricercava, desiderava rincontrare la madre ma c’era una negazione totale e in questa negazione c’entrava Ciro che ha subito attacchi transfobica perché era un uomo trans. Il problema era Ciro. 

Intervistatore: Ma quello del fratello è stato un vero e proprio agguato per quello che è riuscita a capire parlando con Ciro?

Daniela Lourdes Falanga
: Sì, rispetto a quello che raccontano la madre e Ciro sì, perché volevano… Guardi, li ascolto in continuazione, in realtà avevano chiesto di fare un incontro per pacificarsi, per chiarire la situazione e la madre continua a dire che era un agguato. Poi ovviamente io non so bene i fatti ma sto ascoltando quello che dicono loro. 

Massimo Alberti: Questa è la cronaca della vicenda e lo diceva Daniela Falanga, presidente di Arcigay Napoli, questo è un femminicidio che nasce però dalla transfobia, dal non accettare le persone transessuali. Un omicidio, un femminicidio in famiglia che nasce sostanzialmente da questo movente. 

Trans Murder Monitoring è un indice internazionale, è difficile avere dati complessivi su questo fenomeno, che cerca di monitorare il numero di vittime della transfobia. Ecco, l’Italia è il primo paese in Europa con 36 casi registrati dal 2008 al 2016. Pensate che nei primi tre mesi dell’anno in Italia sono scomparse cinque donne transessuali. Questo per darvi l’idea di come questa discriminazione, questo pregiudizio fino ad arrivare alla violenza e addirittura di fatto la morte per non accettare la presenza di una persona transessuale nella propria famiglia sia radicato nel nostro paese. Accanto a questo c’è un altro grande problema che riguarda noi, come stampa, come giornalisti: l’incapacità di saperne parlare, di saper usare le parole giuste quando si toccano questi argomenti. Ne è dimostrazione quello che è stato scritto in questi giorni sui giornali dove Ciro è stato definito davvero in tutti i modi che sostanzialmente andavano a negare quella che è la sua identità. La relazione tra i due è stata definita lgbt mentre invece Maria Paola stava con un uomo, con un uomo appunto transessuale ed è appunto una difficoltà che in qualche modo si ricollega a quel contesto che come dicevamo prima di non accettazione e transfobia. Antonia Monopoli, buonasera!

Antonia Monopoli: Buonasera!

Massimo Alberti: Antonia Monopoli è la responsabile dello Sportello Trans di Ala Milano Onlus e attivista davvero da tanti anni e che di queste discriminazioni, di queste violenze si occupa la sua storia anche di quelle che ha subito lei le ha raccontate in un bellissimo libro che vi consiglio di leggere che si chiama “La Forza di Antonia” che rende bene l’idea di come sia ancora difficile oggi in Italia nel 2020 essere persone transessuali. Partiamo proprio da questo: la difficoltà di trovare le parole giuste.

Antonia Monopoli: Sì, io ho letto molti articoli riguardo la vicenda tra Ciro e Maria Paola dove definivano il rapporto “gay”; quindi definivano il rapporto anzi lesbico e non eterosessuale. C’è molta difficoltà, io lo noto spesso, ogni giorno, quando leggo articoli online, giornalisti che scrivono questi articoli dove fanno sempre fatica, ancora oggi, nel 2020, a scindere l’identità di genere e l’orientamento sessuale e ciò che appunto Ciro sentiva, sentiva di essere un uomo e quindi accompagnato da questa bella ragazza che l’unica colpa che aveva che amava appunto un ragazzo transessuale, la colpa cioè per una famiglia che non accettava questa coppia, questo amore e quindi, come dire, purtroppo ho letto appunto, poi Cira…

Massimo Alberti: Addirittura di un’amicizia per non parlare di una relazione, ne abbiamo visto davvero di tutto

Antonia Monopoli: Esatto, negare l’esistenza della coppia ma sia anche dell’identità sentita da parte di Ciro.

Massimo Alberti: Come si può incidere per provare a cambiare questa rappresentazione?

Antonia Monopoli: Ma guarda, io sono attivista, sono responsabile dello Sportello, io mi occupo di questi temi dal 2002 e, come dire, in tutti questi anni abbiamo cercato in rete con altri attivisti e attiviste sul territorio nazionale anche associazioni LGBT ma anche con l’UNAR, l’ufficio nazionale antidiscriminazione razziale, un ufficio governativo. Ricordo nel 2012 quando ho incontrato i ministri europei quando è stato attivato una strategia internazionale antidiscriminazione quindi tra le azioni di questa strategia c’era anche un corso per formare e informare i giornalisti. Poi ci sono stati altri eventi; qua sul territorio di Milano c’è stato anche un convegno dell’AME, associazione medici endrocrinologici, dove appunto hanno partecipato duecento giornalisti. Quindi, appunto, di cose si sono fatte, cioè io…

Massimo Alberti: Ma secondo te è un problema ideologico o un problema di preparazione giornalistica, preparazione culturale anche, evidentemente?

Antonia Monopoli: Io penso che sia un problema forse culturale o forse, come dire, ideologico di negare comunque l’identità ad una persona o riconoscere una coppia eterosessuale realizzato da un uomo trans e una donna cisgender.

Massimo Alberti: Quindi la base è sempre quella. Poi peraltro un po’ nel mondo del giornalismo, dall’ordine dei giornalisti, si sta un po’ cercando di dotare anche di strumenti tecnici per imparare a chiamare con le parole giuste in queste situazioni però appunto alla base c’è sicuramente un problema ideologico. Volevo dire una cosa perché in queste ore, anche in molti articoli, molti insistono molto sulla situazione specifica di Caivano , più in generale di Napoli e del Sud Italia, lei che viene dal Sud Italia e si è trasferita al Nord, quando si parla di transfobia, vede ancora una differenza geografica in Italia oppure da questo punto di vista il territorio è tutto uniforme?

Antonia Monopoli: Io scendo in Puglia due volte l’anno, infatti sono stata anche ad agosto, venti giorni, anche perché ho la mia famiglia, i miei parenti, che ogni volta che scendo giù è una festa poi come dire io ho visto comunque dei passi avanti. Probabilmente, appunto, magari al sud c’è ancora qualche realtà, qualche paese come dire ignorante, che fa fatica ancora a comprendere, ad accogliere, ad aprire il cuore, avere una sensibilità nei confronti delle persone LGBT ma specialmente delle persone trans. Io ogni volta che vado giù, ripeto, vedo comunque che la gente cerca comunque di far sì che venga accolta a braccia aperte. Quest’estate, appunto, in spiaggia ho ritrovato le stesse signore che io ritrovo da qualche anno e mi hanno chiesto, perché poi si è creata una certa amicizia, ci vediamo ogni anno, d’estate chiedono sempre a mia mamma quando viene tua figlia?

Massimo Alberti: Ogni anno c’è qualche passettino in più.

Antonia Monopoli: Esatto. Io vedo comunque un’apertura poi può capitare appunto che al sud alcuni paesi, io poi, il mio paese si affaccia sul mare, dicono appunto che i paesi che si affacciano sul mare sono di mentalità aperta più che l’entroterra quindi può essere appunto che i paesi interni, come dire, sono un po’ chiusi.

Massimo Alberti: Antonia Monopoli, la ringrazio molto per essere stata con noi, le auguro una buona serata.
Antonia Monopoli: Buona serata.
Massimo Alberti: Grazie.
Antonia Monopoli: Grazie a te. 

Podcast Ora punta di 14 settembre – I fatti del giorno
Trascrizione audio sbobinata da Gerardo Maiello